Per capire, o meglio avvicinarsi ai problemi della gente, si rende necessario, è risaputo, mettersi nei loro panni e cercare di dare risposte ai numerosi perché che, se letti da lontano, non possono mai rendere le giuste ragioni.
Per capire o dirimere provocazioni anche Sergio Marchionne dovrebbe dismettere i suoi panni e vestirsi di quelli degli operai di Mirafiori, ché altrimenti, dall’alto del suo olimpo e dalle numerose certezze che la sua remunerazione gli assicura, non potrà mai comprendere il disagio dei comuni mortali, dei padri di famiglia che lottano per la sopravvivenza.
Posta la premessa, appare opportuno entrare nel problema in cui, da giorni, ci si dibatte.
Si legge sui giornali che l’amministratore delegato insulta ogni giorno l’Italia, che usa toni forti, che dà ultimatum, che nel contratto proposto non si rispetta la libertà dei lavoratori e tanto altro ancora. Alla luce di queste informazioni verrebbe naturale, d’impeto, pensare di votare un no secco a salvaguardia della propria dignità che dovrebbe essere il maggior valore da tutelare.
Ma quando sugli stessi giornali si legge che il 2011 sarà l'”annus horribilis” per l’occupazione, che alla possibilità di guadagnare poco rimane l’alternativa della disoccupazione, una riflessione si impone. Una riflessione che invita ad evitare il cattivo evento che Marchionne ha più volte paventato. Quello di trasferire in un altrove indeterminato gli investimenti.
Questo significherebbe la preclusione, o meglio la possibilità, per gli operai Fiat di riaprire un dialogo, significherebbe dare sostegno alla controparte togliendo il disturbo, significherebbe abbandonare un campo, quello dello storico stabilimento di Mirafiori, che ha rappresentato l’Italia nel mondo delle auto. In definitiva, stringere i denti e votare un sì, forse appare la scelta meno traumatica dell’altra che farebbe terra bruciata.
Articolo da www.ildireeilfare.it pubblicato da Domenica T.
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